Vigili del Fuoco Volontari
Lozzo di Cadore
I N C E N D I
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Incendio del 1867
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Quello che resta del paese dopo il pauroso incendio del 1867
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Il più grave incendio che Lozzo ricordi rimane quello del 1867.
Ecco la descrizione che ne fa lo storico Ronzon, testimone oculare e da cui è possibile comprendere la gravità della situazione e l’angoscia della popolazione:
« …Erano le dieci e mezzo della notte del 15 Settembre 1867 ed era di domenica. La gente, com’è suo costume, s’era coricata da poco e non rimanevano desti che qualche gruppo di giovanotti girovaganti per il paese cantando, o seduti in un’osteria. Quand’ecco si fa sentire la parola: fuoco! fuoco! e a quel grido suonar le campane e alzarsi pallidi, sonnecchianti, semivestiti, esterrefatti gli abitanti e chiamare aiuto e misericordia è un solo punto. Ma ormai non è più tempo di spegnere Il fuoco che, appreso non si sa come ad un fienile al principio del paese, eccitato da un forte vento che soffia da oriente a occidente, e alimentato dall’enorme quantità di legname, di cui tutte vanno coperte e in gran parte fabbricate le case, prende in breve proporzioni tremende. Invano si tende di precludere l’ulteriore progresso delle fiamme, mercè la demolizione dei tetti, chè ardenti tizzoni, portati dal vento, apprendono il fuoco saltuariamente nelle parti più aride e più elevate.
Egli è un momento di indicibile angoscia; gli abitanti disperati, seminudi, non sanno che si fare, hanno perduto il sentimento dell’ordine e del coraggio; non manca il caso di taluno che porta le masserizie nel fuoco, credendo di portarle a salvamento. E’ un via-vai, un tumulto, un urlo, un mugghiare di armenti schiusi dalle stalle, un crepitar di fiamme, un cader di tetti. Il cielo è rosso e un’ampia massa di fuoco in mezzo all’oscurità rischiara d’intorno le immobili cime dell’ Alpi.
Intanto, chiamati dalle loro campane, che avevano risposto al lugubre tocco di quelle di Lozzo, accorrono gli abitanti dei vicini villaggi, accorrono da ogni luogo stipati e deliberati a far tutto per salvare le case e le masserizie degl’infelici fratelli, accorrono i carabinieri a mettere un po’ d’ordine, volano da Pieve i bersaglieri con la loro veste di fatica e con mirabile sangue freddo, con mirabile ardire e sveltezza guadagnano il culmine dei tetti, scivolano da un punto all’altro in mezzo alle fiamme e sembrano gli angeli della luce pugnanti con il genio del male. Con l’aiuto di questi, con l’aiuto di tutti, tanto si fa che dopo tre ore si dà vinto l’incendio, là ove nessuno avrebbe ardito sperare.
Ma in queste tre ore centosessanta edifizi erano consumati, centoquarantatrè famiglie senza tetto, novecento individui privi del necessario; e due poveri coniugi, già avanti negli anni, e una loro figlia, non ancora ventenne, avvolti dal fumo e dalle fiamme nella casa attigua al fienile, ove primo l’incendio si apprese, incapaci di rinvenire una via di scampo, miseramente perivano. Caso lugubre che s’aggiungeva ad accrescere la desolazione d’una notte d’orrore.
Chi avesse veduto il paese di Lozzo la mattina del 16 Settembre non avrebbe potuto trattenere le lagrime. Non più tracce di vie e d’abitati, dovunque mucchi di ceneri, travi abbronzate, fumanti, accatastate l’una sull’altra, muri scrollati, reliquie di masserizie, di mobili sparsi ovunque… Dovunque silenzio, squallore, rovine; ma se spingevi lo sguardo nella campagna circostante ti si presentava un altro straziante spettacolo: d’una popolazione seminuda, chiedente un cencio, un pane, un tetto ».
E l’aiuto venne spontaneo, sollecito, cordiale da ogni parte d’Italia, con generosità fraterna che Lozzo non potrà né dovrà mai dimenticare!
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